In un messaggio recente mi si chiede "ma il counseling, individuale o di gruppo che sia, funziona?".
Che domanda difficile, anzi, che risposta difficile!
Ci ho pensato, molto, perché non credo nelle facili risposte dogmatiche di certi "guru" o "santoni" e credo che molto dipenda da come ci si approccia al counseling.
Sembra una risposta banale e semplicistica ma non lo è e cercherò di spiegarvi perché. (Nelle note precedenti, intanto, per chi non le avesse lette, ho cercato di spiegare a grandi linee cosa sia il counseling e per che tipo di situazioni sia utile).
Il counseling, come ogni professione di aiuto (dal tecnicismo del coaching alla medicina della psichiatria), dà ottimi risultati se ci sono le tre seguenti condizioni:
1) Che chi chiede il counseling lo faccia di sua spontanea volontà e non perché "mandato" da alcun chi. Che abbia quindi la giusta motivazione ad impegnarsi in un percorso che mi piace definire di "benessere".
2) Che chi offre il servizio sia onesto ed eticamente corretto e metta in evidenza immediatemente eventuali limiti del counseling per il problema che viene portato all'attenzione del counselor.
3) Che chi decide di affrontare un percorso di counseling, individuale o di gruppo, lo faccia con l'intenzione di essere un soggetto attivo e partecipante e non un soggetto passivo che aspetta l'aiuto altrui come manna dal cielo o che lascia che il destino compia il suo corso...
Il primo punto, mi sembra, si spiega da sé, così come il secondo punto per il quale non posso far altro che sperare nella vostra fiducia, visto che non ho modo di dimostravi la mia correttezza se non lavorando insieme.
Per il terzo punto credo ci siano diverse riflessioni da fare. Innanzi tutto riguarda una più ampia filosofia di vita e, generalmente, chi decide di chiedere un aiuto è già un soggetto attivo e ha già, probabilmente, compiuto un percorso interiore che lo ha fatto decidere per una svolta nella sua vita o, più semplicemente, ha chiarito dentro di sé che il desiderio di cambiamento, di trovare la soluzione ad un problema, di affrontare un timore ha bisogno di un'azione concreta (come, appunto, scegliere un percorso di counseling).
La partecipazione attiva e il coinvolgimento fanno la differenza tra un percorso fine a se stesso e un percorso che porterà a un cambiamento più o meno importante ma continuativo e orientato verso il benessere presente e futuro.
Vorrei fare un esempio a questo riguardo perché questo concetto riguarda ogni aspetto della vita e fa la differenza tra "lasciarsi vivere" e "vivere".
Se studio matematica solo per arrivare in fondo all'anno scolastico con un sei, il necessario per non essere rimandato, probabilmente imparerò a memoria i vari teoremi e le regole e penserò che l'unico obiettivo dello studio sia sapere che 2+2 fa 4. Oppure... la posso studiare con attenzione, con coinvolgimento e partecipazione e andare al di là del 2+2=4 e iniziare a vedere come la matematica permei ogni aspetto della nostra vita e come possa essere una scienza coinvolgente e "calda" al pari di una materia umanistica e, magari, rimanerne affascinato. Tutto dipende dal grado di profondità con cui si entra in ciò che si vive. Più si partecipa più si hanno risultati. Facile o difficile che sia, pochi o tanti progressi che si riesce a fare, la differenza ci sarà.
Per questo al quesito che ha originato questa nota devo rispondere: dipende...
Buona domenica a tutti/e.